Ryoji Ikeda

Ultimo aggiornamento: precedente al 2019
Influenzato in origine, a fine anni Ottanta, dall’ambient music di Brian Eno e dalle cadenze da rave di house e techno, Ryoji Ikeda definisce il proprio profilo espressivo intorno alla metà del decennio seguente, a contatto con il collettivo multidisciplinare di Kyoto Dumb Type. Ed è appunto a quell’esperienza che si deve l’indissolubile intreccio fra suono e immagine che ne contraddistingue l’opera. Egli stesso, d’altra parte, preferisce essere considerato sound artist piuttosto che musicista. Agisce dunque sui suoni primari come uno scultore fa con la materia grezza, modellandoli e ottenendo così – anziché composizioni tradizionali – soundscapes: “ambienti sonori” naturalmente disposti all’associazione simbiotica con altri elementi. Ciò che Ikeda produce non è pertanto semplice “musica elettronica”: si tratta piuttosto di stimolazioni sensoriali provocate dal ricondizionamento in formato binario di dati analogici, siano essi suoni – e sovente ultrasuoni ai limiti della percezione umana – o immagini. E in quel senso le piattaforme digitali su cui lavora non sono strumenti impiegati per ricavarne trame narrative, bensì l’habitat stesso in cui si ridefinisce l’identità di codici e linguaggi. Punto di partenza è allora, per ammissione dell’interessato, l’algido silenzio dei computer in stand-by, così come lo schermo bianco prima che le immagini prendano forma. Tabula rasa su cui Ikeda esercita la propria attitudine creativa, allo stesso tempo rigorosamente scientifica e sottilmente spirituale: come in una versione neomodernista della filosofia zen. Difficile ridurre quindi le sue esibizioni pubbliche al rango consueto del “concerto”: sono in realtà opere in progress, nelle quali suoni e immagini non vengono banalmente addizionati gli uni alle altre ma – nascendo dal medesimo ceppo – a tutti gli effetti crescono insieme, condizionandosi a vicenda. È così nel caso specifico della performance presentata a MITO in prima nazionale: la versione 2.0 di Datamatics. Nelle parole dello stesso Ikeda: «Un progetto artistico che esplora la possibilità di percepire la sostanza molteplice e invisibile dei dati che permeano il nostro mondo». Una sequenza di esperimenti in varie forme – concerti audiovisivi, installazioni, pubblicazioni e uscite di cd e dvd – che cerca di dare corpo a quei puri dati. Alberto Campo