Francesco Guccini

Ultimo aggiornamento: precedente al 2019
Francesco Guccini nasce a Modena il 14 giugno 1940, ma a causa della guerra trascorre l’infanzia e parte dell’adolescenza nel paese dei nonni paterni, Pàvana, località dell’Appennino Pistoiese, al confine con il territorio bolognese. Frequenta l’Istituto magistrale a Modena e la Facoltà di Magistero Lettere a Bologna, città nella quale si trasferisce nel 1960. Fa per due anni il cronista alla Gazzetta di Modena ed insegna per vent’anni lingua italiana al Dickinson College, scuola off-campus, con sede a Bologna, dell’Università della Pennsylvania. Comincia a suonare e a scrivere canzoni alla fine degli anni cinquanta: “Musicalmente sono nato nel 1957, con una chitarra avuta in regalo, composi le prime canzoni quasi subito…”. Ha alle spalle la realizzazione di 22 Album e può contare, in Italia, su un seguito consolidato in quarant’anni di attività. Il debutto in proprio, Folk Beat n°1, avviene nel 1967 a nome Francesco, senza il cognome Guccini, ma con canzoni che si presentano da sole, a partire da Noi non ci saremo e Auschwitz (La canzone del bambino nel vento), con le quali entra nella storia della musica italiana dalla porta principale; altri pezzi degni di nota sono Statale 17, Il sociale e l’antisociale e Canzone per un’amica (In morte di S.F.) che ancora oggi battezza ogni concerto del Maestrone. Nel 1970 è la volta di Due anni dopo (registrato nell’autunno del ’69), album dai toni inquieti ed esistenziali. Il centro narrativo del disco è il tempo che passa e la vita quotidiana analizzata nella dimensione dell’ipocrisia borghese. Sempre nel 1970 viene pubblicato L’isola non trovata, in questo album collaborano per la prima volta con lui il pianista Vince Tempera e il batterista Ellade Bandini, che ancora oggi lo accompagnano nei concerti. Il vero salto artistico e qualitativo arriva nel 1972 con Radici, dove ogni brano è una piccola perla: Radici, Piccola città, Incontro, Canzone dei dodici mesi, Canzone della bambina portoghese, Il vecchio e il bambino e la mitica Locomotiva. Il filo conduttore dell’album è l’eterna ricerca delle proprie radici, testimoni della continuità della vita. Nel 1973 è la volta di Opera buffa, registrato all’Osteria delle Dame e denso di scherzi musicali, mostra l’aspetto più giocoso di Guccini. Stanze di vita quotidiana (1974) torna a puntare tutto sulla riflessione e sull’intimismo. Il successo commerciale arriva nel 1976. È l’anno di Via Paolo Fabbri 43, disco che entusiasma e commuove: L’avvelenata sputa rabbia e orgoglio, Piccola storia ignobile racconta il dramma dell’aborto, Via Paolo Fabbri è un’astratta descrizione della sua vita bolognese. L’album successivo, pubblicato nel 1978, è Amerigo, la cui canzone più famosa è Eskimo, ritratto dei sogni di una generazione. Tuttavia, Guccini stesso intravede il momento più riuscito nel brano Amerigo, una ballata in cui mette a confronto l’America sognata e quella vissuta con gli occhi dello zio emigrante. Nel 1979 esce Album Concerto, un live realizzato con i Nomadi, primo disco in cui compare nelle vesti di coordinatore artistico, Renzo Fantini. Guccini apre gli anni Ottanta con Metropolis (1981), album dedicato a città con una storia e una forte valenza simbolica (Bisanzio, Venezia, Bologna, Milano). Il successivo disco, Guccini (1983), tratta le stesse tematiche del precedente, soprattutto il tema del viaggio e del disagio metropolitano. Un brano “classico” è Autogrill, canzone sospesa tra mistero e irrealtà che narra di un amore solo sfiorato. Segue, nel 1984, il live Fra la via Emilia e il West, fedele registrazione del trionfale concerto in Piazza Maggiore a Bologna. Il 1987 è l’anno di Signora Bovary, un album di stampo intimista, dove le varie canzoni sono dei ritratti di personaggi della vita dell’Autore: Van Loon è suo padre, Culodritto è la figlia Teresa. Gli anni Ottanta terminano con un altro disco dal vivo, Quasi come Dumas (1988) con l’aggiunta dell’inedito Ti ricordi quei giorni. Quello che non… (1990) battezza il nuovo decennio. La negazione fotografa l’andamento di una questione sentimentale, ma anche la dissoluzione di certi ideali sociali e politici. Nel 1993 si torna a volare. Parnassius Guccinii (dal nome dell’omonima farfalla a lui dedicata) è l’ennesimo grande album (targa Tenco), dove spiccano canzoni come Samantha, storia di un amore non realizzato, Canzone per Silvia, dedicata alla Baraldini, Nostra Signora dell’Ipocrisia, atto d’accusa contro la televisione e soprattutto Farewell, bellissima ballata dell’amor perduto. D’amore di morte e di altre sciocchezze esce nel 1996. La morte è in Lettera, struggente dedica agli amici Bonvi e Victor Sogliani; ne Il matto e ne Il caduto. Le sciocchezze vivono ne I fichi. L’amore inonda il resto dell’album e trova il suo apogeo in Vorrei e in Cirano, su cui soffia il vento forte dell’epica. Con il disco Guccini Live Collection (1998), 27 successi dal vivo, si chiudono gli anni Novanta. Le canzoni sono state registrate in momenti assai diversi tra loro, nell’arco di oltre dieci anni di ininterrotte tournée. Nel 2000, sorgono le Stagioni del cuore, quelle che Guccini da sempre mette in calendario, perché accorda il ritmo del tempo alla melodia delle emozioni e dei sentimenti. Da ricordare canzoni come Stagioni, Addio, Don Chisciotte, E un giorno. Il brano Ho ancora la forza è scritto insieme a Luciano Ligabue. L’album successivo, Ritratti (2004), è caratterizzato da emozionanti “quadri metaforici” che rappresentano uomini entrati nella Storia per volontà o loro malgrado: Ulisse (Odỳsseus), Che Guevara (Canzone per il Che), Colombo, Carlo Giuliani (Piazza Alimonda). Nel 2005 esce il disco dal vivo Anfiteatro Live, registrato l’anno precedente nell’anfiteatro di Cagliari. Il doppio CD è accompagnato da un DVD che ripropone integralmente il medesimo concerto. Nel 2006 viene pubblicata la raccolta tripla celebrativa dei suoi 40 anni di carriera, The Platinum Collection, contenente 47 grandi classici della sua discografia.