Chet Mood

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Ultimo aggiornamento: precedente al 2019
Philip Catherine è stato all’avanguardia della scena jazz europea fin dagli anni Sessanta. Il suo lavoro con grandi artisti come Chet Baker, Larry Coryell, Tom Harrell, Niels-Henning Ørsted Pedersen, Stéphane Grappelli, Charles Mingus, Sylvain Luc, il suo approccio unico, il suo sound e la sua devozione alla musica sono stati importanti e influenti. Nato a Londra nel 1942, proveniente da una famiglia di musicisti, sviluppa l’orecchio musicale fin da piccolo. Dopo aver scoperto Georges Brassens e Django Reinhardt inizia a suonare la chitarra e ad ascoltare tutti i grandi jazzisti del tempo, che spesso accompagnava quando suonavano in Belgio, dove si era trasferito con la sua famiglia. All’età di 18 anni attraversa l’Europa con Lou Bennett e nel 1971 Jean-Luc Ponty gli chiede di unirsi al suo quintetto. Nel 1971 incide il primo disco a suo nome, Stream. Ha suonato nelle sale da concerto più prestigiose, dalla Berlin Philharmonic alla Carnegie Hall, dal Concertgebouw di Amsterdam all’Olympia e alla Salle Pleyel di Parigi e al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, ma di tanto in tanto ama ancora suonare nei jazz club per la loro immediatezza di comunicazione con il pubblico. Philip Catherine ha ricevuto molti riconoscimenti, tra gli altri il BIRD Prize (1990), insieme a Stan Getz al North Sea Festival, il Django d’Or (1998) a Parigi come “Best European Jazz Artist”, il ZAMU Lifetime Achievement Award (2001) e Best Musician (2002). Nel 2002 ha ricevuto il titolo di Maestro Honoris Causa dal Conservatorio di Anversa. Ha anche collaborato con la Bruxelles Jazz Orchestra (BJO), prima band europea secondo il sondaggio della critica di «Downbeat» del 2004, con cui nel gennaio 2005 ha registrato l’album Meeting Colours, con superbi arrangiamenti per chitarra e big band. Suona regolarmente anche con il suo trio, una formula che ama particolarmente perché gli consente di avere sia il supporto ritmico, sia la possibilità di liberare la sua ampiezza stilistica, dall’irresistibile suono groovy rock alle lente frasi liriche di cui è maestro. Nel 2006 Philip Catherine ha preparato un nuovo programma per chitarra sola, che ha eseguito durante tutto il 2007 e il 2008. Nato a Roma nel 1956, Riccardo Del Fra ha studiato al Conservatorio di Frosinone con Franco Petracchi e Franco Noto. Ha collaborato regolarmente con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, suonando contemporaneamente in diverse formazioni jazz e registrando musiche per film, tra i quali La Pelle di Liliana Cavani e La Città delle donne di Federico Fellini. Ha suonato con artisti di fama internazionale come Chet Baker, Al Levitt, Art Farmer, Dizzy Gillespie, Art Blakey, Sonny Stitt, James Moody, Lee Konitz, Tommy Flanagan, Kai Winding, Clifford Jordan, Horace Parlan, Kenny Wheeler, Paul Motian, Dave Liebman, Michel Graillier, Dennis Luxion. Ha lavorato inoltre con Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto, Maurizio Giammarco, Oscar Valdambrini, Dino Piana, ed è contrabbassista titolare in diverse formazioni: Barney Wilen, Bob Brookmeyer, Johnny Griffin, Toots Thielemans, Michel Herr, Charles Loos; suona inoltre con Martial Solal, René Urtreger, Michel Legrand, Georges Arvanitas, Jean-Louis Chautemps. Nel 1989, insieme ad Art Farmer, Dave Liebman, Rachel Gould, Enrico Pieranunzi e Michel Graillier realizza, in omaggio a Chet Baker, il disco a A Sip of your touch, vincendo il Grand Prix Fnac. Si interessa anche alla musica contemporanea, eseguendo in particolare le composizioni di Toru Takemitsu, insieme all’Ensemble 2e2m di Paul Méfano e alla musica tradizionale bretone in compagnia della cantante Annie Ebrel, con la quale incide il disco Velluto di Luna, Voulouz Loar (Prix Choc di «Le Monde de la Musique», Diapason d’or nel 1999). Produce inoltre numerose colonne sonore per il cinema, in particolare per il regista Lucas Belvaux con cui collabora dal 1996 (Per scherzo, La Trilogie: Un Couple Epatant - Cavale - Après la Vie, Nature contre Nature, La Raison du Plus Faible). Nel 2000 esce l’album Soft talk, inciso insieme al pianista Michel Graillier (premio Charles Cros, premio Académie du Jazz). Nel 2004 è nominato direttore del Dipartimento Jazz e Musica Improvvisata del Conservatorio Nazionale Superiore di Musica e Danza di Parigi, dove già dal 1998 era succeduto al contrabbassista Jean-François Jenny-Clark nell’insegnamento del contrabbasso e del jazz. Il disco Roses and Roots (2005), sua testimonianza del piacere di lavorare e di sperimentare con giovani musicisti, ha ricevuto numerose ricompense della stampa: Disco del mese per «Jazz Magazine», Quattro stelle per «Jazzman» e «Le Monde de la Musique» e voto Dieci in «Classica Repertoire». Figlio di immigrati italiani, Aldo Romano è stato scoperto da Jackie McLean nel 1963. L’anno seguente, a fianco del suo coetaneo (e futuro compagno in molte avventure) Jean-François Jenny-Clark, si è unito a Bernard Vitet e François Tusques in uno dei primi gruppi di free jazz in Francia. In seguito ha lavorato con Don Cherry, Gato Barbieri, Steve Lacy, Enrico Rava, Barney Wilen, Michel Portal, Eddy Louiss, Jean-Luc Ponty, Phil Woods, Slide Hampton, Joachim Kühn, Roswell Rudd, Woody Shaw, Joe Henderson, Steve Kuhn, Franco D’Andrea, Michel Graillier, François Jeanneau, Joe Lovano, Nathan Davis e Keith Jarrett. Negli anni Settanta si è dedicato alla fusion con il gruppo Total Issue (con Henri Texier e Georges Locatelli), con il trio di Jasper van’t Hof e Siegfried Kessler, con il quintetto europeo-americano Porkpie (Texier, poi Jenny-Clark, Charlie Mariano, van’t Hof e Philip Catherine). Nel 1978 ha iniziato a incidere i suoi primi album per la Owl Records (Il Piacere, Night Diary e Alma Latina). Nel 1980-1981 il talent-scout che è in lui ha lanciato la prodigiosa odissea di Michel Petrucciani, di cui è stato il batterista per più di tre anni. Dal trio che saltuariamente ha guidato con Louis Sclavis e Henri Texier negli ultimi 12 anni, al suo entusiasmante esperimento elettro-jazz nel 2002, Because of Bechet, in compagnia del programmatore Naab, dell’organista Emmanuel Bex e di tre notevoli giovani talenti italiani, i sassofonisti Emanuele Cisi, Francesco Bearzatti e il pianista Nico Morelli; dal gruppo contemporaneo di metà degli anni Novanta in cui era associato a un altro italiano, l’impetuoso Stefano di Battista (Prosodie e Intervista), al Palatino ensemble, un quartetto di gusto soave ed elegante che a suo modo potrebbe essere visto come una nuova reincarnazione dell’era della West Coast (Glenn Ferris, Paolo Fresu e Michel Benita: Palatino, 2000); dal prolifico Italian Quartet (dal 1987 al 1993), una fratellanza linguistica composta da Franco D’Andrea, Paolo Fresu e Furio Di Castri (Ritual, To Be Ornette to Be, Dreams & waters, Non dimenticar), a uno dei suoi gruppi più recenti, Corners, un altro gruppo internazionale (con il chitarrista Tim Miller, il clarinettista Mauro Negri e il pianista Ronnie Patterson); e dall’Emmanuel Bex Trio al Michel Benita Quartet, Aldo Romano ha inseguito solo un’unica chimera: suonare jazz, niente altro che jazz, ogni jazz possibile e, allo stesso tempo, liberare se stesso da tutti i modelli consolidati. Un creatore vagabondo per almeno quarant’anni, il batterista (ma anche pianista, chitarrista, percussionista, cantante, paroliere, compositore e arrangiatore) Aldo Romano non ha mai smesso di evolversi, aprirsi al mondo e prepararsi a nuove sfide.